Corri, corri su una bicicletta. Vai forte, stai bene, la temperatura è perfetta, percepisci una botta di ipercoscienza, tutto ora è semplice e risolvibile, come se tutti i problemi fossero insulsi, come se il tuo corpo in catene, quello di stamattina, non fosse altro che una finzione, una marionetta in un teatrino.
Sei un bambino, hai una paura folle. La natura intorno a te, vergine, smaliziata, si mostra in tutta la sua potenza. Tutti i segni che traccerai su un dannato foglio non serviranno mai a descrivere quel profumo umido, perfetto, pieno, che sa di dio, di vita, di te, dei tuoi sogni, di paura, di perfezione, di quella ragazzina più grande di te che una sera ti ha raccontato il suo primo bacio, ma soprattutto sa di libertà. Libertà da tutto, anche da te stesso. Il goffo bambino di stamattina non c’è, non qui, la tua anima, indeclinata, ride con lei, con la natura, per la prima volta, talmente forte che fa male. Bastano un pretesto come una strada in mezzo alla campagna fresca di mietitura, una scintilla come la ruota anteriore di una bicicletta che stavolta, stasera, gira a sinistra, e pam, un bambino timido diventa un semidio.
Nella sua infinita dolcezza, l’oscurità prende per mano la tua anima e comincia a condurla, sicura, per strade sconosciute. Sei lontano da casa, ma non è forse questa la tua casa? Sei vulnerabile qui, ma non sei forse completamente invulnerabile, si, proprio qui, nell’eterna roccaforte del tuo spirito? Tua madre sarà preoccupata, ma non è forse questa tua madre, la natura? E lei non sembra preoccupata, sembra anzi portare placidamente alle tue orecchie, con questa brezza fresca, il canto delle cicale che cercano amore e vivono di puro istinto, come tutto in lei, come te in questo momento. E che tu sia appena diventato in grado di godere di tutto questo, stanotte, proprio adesso e non un momento fa, rende tutto ancora più crudo, sincero, genuino, doloroso e fantastico. Percepisci tutto, puro senso quale sei diventato, in ogni angolo dell’universo. Quando ritrovi la strada, non avverti sollievo, perché tutto questo tempo, tutto quest’istante, ti sei fidato ciecamente della natura, e prescelto, non sei stato tradito.
Assoluto, puro come un bambino, privo di vincoli come un giovane, sapiente come un grande uomo, vai infine a sdraiarti sotto l’albero che hai sempre visto da solo in quel campo di grano, forte, dimenticato ma tenace, che hai sempre visto, ma solo passando per di lì, occupato in altre cose, nella tua vita di goffo bambino. Guardi le stelle, non ti affascinano, non ti spaventano. Sono te, tu sei loro. Il sublime abbraccio, ora, dopo questa prova, dopo questo travaglio, è compiuto.
Tutto passa in una fulminea eternità. Con la dignità dell’Achille che non conosci ancora, cammini stoicamente con una freccia piantata da qualche parte, la freccia che ti riporta a terra. Le lacrime di tua madre sono l’ultima cosa da cui quel boccone d’invincibilità riesce a difenderti. La tua reazione è ancora perfetta, ma appena ti ritrovi da solo, cadi. Guardi fuori, tra gli alberi ancora spazzati dal vento si nascondono mille altre sensazioni. Vuoi un altro morso di quell’ambrosia, quell’ambrosia che è ambrosia perché non se ne può avere un altro morso. Ora è di qualcun altro.