domenica 23 gennaio 2011

Struggle (dedicato a Mr. Jazz)

Ovvero: allegoria del modo d'amare di una mente troppo complicata

Da anni e anni si combattono. Buffi prodotti di un'iconografia di second'ordine, sono in me terribilmente seri.
Di donne, parlano, ognuno per la sua fazione.
All'inizio era una pura formalità: aveva gioco facile, il Bianco, a rammentarmi che sopportando le spine sulla via della bontà e dell'intransigenza interiore più pura non mi sarei mai precluso le massime gioie dell'amore vero.
Oh Bianco, con quale gioia negli occhi ti seguivo fiducioso, incurante delle evidenze! Per quanto tempo, con quale vigore! Un sognatore, un romantico, mi hanno definito in tanti, grazie a te. Un commovente esempio d'una mentalità rara come perla. Speranzoso, di giorno in giorno mi sono alzato attendendo la mia Donna, ho individuato varie candidate, e la fiducia non venne mai meno nonostante il dolore della loro indifferenza verso di me. Bianco correva felice e vigoroso. Nero taciturno attendeva.

Ma gli anni, coi mortali, due cose sanno fare: passare e pesare. Non mi risparmiarono.

Guardateli adesso. Guardate il Bianco. Dieci anni sono passati, dieci anni a ripetere le stesse cose ogni volta che il sole si leva. Sempre più affaticato, vecchio, svogliato; biascica le sue solite storielle: chi sa se lui stesso ci crede ancora.
E il Nero, oh il Nero. Bene mostra quanto costino ogni giorno il rigore la cieca fiducia nella venuta della giustizia, e quanto sia più comodo rinunciare alla mai vista ciliegina tutta astratta dell'algida buona coerente intenzione che coronerebbe ogni azione. Vigile, fiero, elegante. Il suo passo è silenzioso e deciso, la sua logica ferrea.

So già cosa vai pensando, lettore, ch'egli è ingannevole e non lo seguiresti mai. Toi, hypocrite lecteur, mon semblable, mon frere! Analista superficiale, forse anche gli corri dietro ogni giorno senza nemmeno rendertene conto, senza porti problemi, senza porti quei problemi su cui il mio valido intelletto, perdona l'immodestia, s'è al contrario lambiccato, restandone esausto.

E perno è quella stanchezza irrimediabile per le leve sapienti del Nero. Sovrasta con voce suadente la balbuzie del Bianco. Argomenta con efficacia ogni suo asserto.

Tranquillo, rilassato, ora il Nero si disinteressa del Bianco che dietro di me gattona, perdendo dignità ad ogni passo. Mi cammina a fianco e identifica con precisione certosina ognuna delle innumerevoli bellissime donne amanti d'idioti, superficiali sprecatrici della propria esistenza e delle proprie virtù. Me le indica ad ogni passo con eloquente gesto della mano, e col risparmiarsi ovvii commenti riesce ben meglio compreso.
Mi lancia le occhiate di chi sapeva in anticipo, quando una fanciulla distoglie sprezzante il suo sguardo dal mio.

Credi forse ch'io ancora sia convinto che l'abitudine delle donne di amare chi peggio le tratta, di adorare le anime d'infimo spessore, sia frutto di distrazione o di transitoria debosciatezza? Con quale animo, lettore, dovrei osservare le donne accalcarsi addosso a chi fa sgorgare le lacrime dai loro occhi? Perchè mai dovrei sopportare paziente l'assenza dei loro sguardi, preziosi fili d'oro che vedo ogni giorno triturati dalle indelicate lame dell'idiozia di cento e ancora cento tocchi di sterco?
Citerai quelle che s'interessano di uomini degni di tale appellativo; e dove poni allora il dolore di essere per così lungo tempo e senza motivo escluso da tale privilegio?

Poi il Nero mi ricorda di quando, ancora bambino, assaggiai per la prima volta il gusto amaro d'un amore non ricambiato, il cui oggetto insensibile tante volte mi sottopose i racconti dei suoi, naturalmente sempre verdeggianti.
Mi fa rivivere la sofferenza di una notte in cui pessimo distillato annebbiava la mia mente ma le dava pieno sfogo tuttavia, mentre delusione cocente faceva vibrare le mie corde vocali, che dileggiavano i sordi defunti in un cimitero d'altre terre. Il freddo notturno di un'estate morente frustava le mie nude braccia, ed un povero cippo ebbe a ricevere l'urina di quello che sembrava un povero pazzo.
Proietta in me la sera in cui la mia più candida confessione d'amore venne rimandata al mittente, sotto forma di coltello che fese le membra.

E rinvigorisce infine la beffa della somma asprezza, di vedere che m'amarono invece donne che non mi piacquero, nonostante i miei sforzi d'ingannarmi. Ah, è dura per chi segue il Bianco mentire a se stessi! Rilancia su di me il dolore che sopportai a guardare i loro occhi, così simili ai miei, nel doverle allontanare. Ma bada, lettore, bada bene: è per la pura onestà del Bianco, che ebbi nel sondare il mio inequivocabile sentire, che non mi videro concesso, sventurate, e non certo per giudizio superficiale delle loro persone, cui anzi auguro ogni bene, e che spero non m'odino tanto, se possono.

Abbandona quella inutile rigidità dell'accettare unicamente una donna che ami e che t'ami sommamente. Male hai fatto a coloro che per seguire un sogno vano abbandonasti per strada, male fai ogni giorno a te stesso, guardando solo le donne che ti suggeriscono più emozione, non dando qualche momento di felicità a te e a qualche fanciulla per cui forse non provi sommo amore, ma futilmente crei il suo e il tuo dolore per non drogarti d'una piccola bugia. Io forse son Nero per la tua anima più eterea, ma vedi il male che fai qui di fuori per rimanere pulito dentro, dove nessuno mai vedrà. Per me non è certa la venuta della Donna che tanto attendi, per me l'amore non è per forza genuino entusiasmo, ma il Bianco rigore t'uccide nella stasi. Così parla il Nero, e sbiadisce.

In lontananza vedo il Bianco, che scurisce, insozzato dai dieci anni di irragionevole estremismo.

Stigmatizza ora, se puoi, lettore, ora che il tempo ha reso tutto grigio.

sabato 19 giugno 2010

Finally, her.

Lei è proprio qui davanti a me, ed è bellissima.
Tranquilla e importante, li dov'è ora non proferisce suono: ma già mi comunica tante emozioni. Quando poi avrò modo di ascoltare la sua soave voce, abbandonerò le orecchie felice e beato.
Provo per lei un amore istintivo e però maturo; non la lascerei mai scappare e le darò tutto me stesso. Di certo non la do per scontata: è preziosa e delicata, trattarla senza le dovute precauzioni sarebbe è errore e un dispiacere, potrebbe reagire trattandomi male e non potrei biasimarla.
Anche solo guardarla è una responsabilità, perchè l'ho aspettata per tutta una vita. Ce ne sono state altre, è vero, ma lei è diversa, e si vede. E ve l'assicuro, non sono uno di quei tizi che si innamorano facilmente, ho spirito critico a palate. E'li, sembra quasi che mi sorrida; io la amo come un ragazzino, ma so che una cosa così importante mi darà da pensare e me ne dovrò prendere cura con pazienza e riguardo. Lei è fonte di piacere incommensurabile e al contempo degna di rispetto e deferenza, nella sua importanza, nella sua bellezza, per merito delle mani sapienti che sono sicuro l'abbiano formata.
Ma in fondo, siamo uomini: guardatela. E' di certo in grado di eccitare chiunque la guardi, ma nessuno me la porterà via altrimenti si metterebbe ad urlare. Ogni suo dettaglio è formato alla perfezione, e nell'insieme le proporzioni paiono studiate con cura da un creatore sapiente.
In fondo, che senso avrebbe stare qui a guardarla senza toccarla e stare con lei? Mi avvicino e la accarezzo; è piacevolmente calda. Ora basta con gli indugi, diamine. Letteralmente salto su di lei, e giro la chiave: è tardi e quella rompicoglioni della mia ragazza mi sta aspettando.

venerdì 25 dicembre 2009

Shot

Tira il grilletto. Dai. Spara.
Su piantala. STAI ZITTA! MI PREMO LA CANNA CONTRO LA FRONTE QUANTO VOGLIO! Dannazione. Mi fai sempre gridare.
Adesso mi spari. Sono sette anni che mi prendi per il culo. Tira il dannato grilletto. SETTE ANNI CAZZ...ok, non vedo perchè dovrei arrabbiarmi, in questo preciso momento non mi stai rompendo i coglioni.
E adesso cosa fai. Non piangere. Smettila. SMETTILA DI PIANGERE CAZZO! E' TROPPO FACILE PIANGERE ADESSO! ADESSO DEVI RIDERE, COME STAVI RIDENDO IERI TRA LE BRACCIA DI QUEL POVERO COGLIONE!
Sette anni. E facevi finta di niente, mi assecondavi. SPARA PORCA PUTTANA! Haha, oh, no, sarebbe troppo facile lasciarti, eri tutto per me. Erano sette anni, oh che dolore, non vediamoci più. Troppo facile.
Con un povero coglione, un lurido stronzo. Cosa. Cazzo. Hai. In. Quella. Testolina. Da. Oca. Del. Cazzo.
E' vero, non dovrei insultarti. Sono un uomo con una certa etichetta, me lo dici sempre, è per questo che ti piaccio tanto. Un uomo di principio.
Un uomo di principio. Ed è per questo che la cosa la risolviamo qui, adesso, non ce la meniamo come quelle coppiette del cazzo che la tirano avanti talmente a lungo da allungarsi le braccia. Fai presa su quel cazzo di grilletto, non allontanare il dito. E ti ho detto di smetterla di piangere. Dovevi pensarci prima, adesso è troppo tardi.
Ammazzare lui invece che costringerti ad uccidermi? Oh, certo. Così divento l'assassino da ghetto.
Ammazzare te? Così divento l'assassino gelosone e poi diventi una martire anche nella mia testa.
Col cazzo. Lo sai che non mi piacciono le soluzioni facili. -Quando mi scopre, si incazza e se ne va, e intanto continuo a PRENDERLO PER IL - non devo urlare - continuo a prenderlo per il culo-, ti sarai detta. E invece no. Adesso tu mi spappoli il cervello. Non credevi che potessi essere così pazzo? E invece ti sbagliavi, troia. E questa te la meriti, truccata come una puttana come sei. Spara. Spara e vai a casa. Pulisci tutto e cerca di non farti scoprire, per quanto me ne possa fottere da morto. Ma adesso mi ammazzi, mi ammazzi TU.

se sei pessimista, scegli il finale A. Se sei ottimista, scegli il finale B.

A: BANG.
B: click.

ah no, forse li ho invertiti.

venerdì 11 settembre 2009

Dublin

E ti capiterà ancora un'altra volta, e sarai stanco. Guarderai il Liffey scorrere sotto i tuoi piedi, coi capelli bagnati, e ti vergognerai che ti bruci ancora, ancora, ancora un'altra volta. Ancora una volta, come la prima. E non capirai, non capirai perchè non hai sonno, perchè per quanto provi a fare fatica, per quanto provi a mandarti a puttane il cervello, a farlo stare zitto, sarai sempre lì, lucido, coi quadricipiti caldi, e affronterai le sorde nuvole guardandole in faccia, con indosso un giubbotto tiepido e accogliente. Ma è forse proprio lì la salvezza, è proprio per questo che ti amerai ancora, che ti specchierai nelle vetrine, arrabbiato, e vedrai che ne hai ancora, ne hai ancora a palate.

Dublino grigia e verde, in cui batte silenzioso un cuore inestinguibile. Dublino in cui perdersi, Dublino in cui ogni dettaglio è il pugnale e l'amorevole cura. Dublino che tace, Dublino che indifferente fa da sfondo alla tua anima, e ti fa ascoltare ogni voce, e ad ogni parola fa da doloroso contorno. Dublino che sola ti può capire ma non ti ascolta. Dublino che non poteva essere altrimenti, Dublino che ti rapisce, che ti altera, ti convince con la forza ad aprire gli occhi e non sognare, che ti suggerisce la risposta che più è corretta e più fa male. Dublino che ti stringe forte tra le braccia fredde, Dublino che non si fa piacere, ma non potrà mai farsi odiare. Dublino dove il verde è più verde, dove ogni filo d'erba ti insegna a protendere verso un sole coperto ostinatamente, continuamente, incessantemente dalle nuvole, senza aver bisogno di dirti che ne varrà la pena. Dublino che ti ruba l'anima, Dublino dove non riesci a piangere, Dublino dove le pinte di Guinness hanno sicuramente anche la tua storia, da raccontare. Dublino dove l'allegria è un fantasma, che aleggia, ti tocca per un secondo e poi se ne va, sulle note di un flauto battuto nel metallo da satana ma con l'oncia intagliata da dio. Grazie, Dublino.

mercoledì 28 gennaio 2009

Runner

E poi viene un giorno che inciampi. Dopo tutto quel correre a perdifiato, verso un te stesso migliore, inciampi, e non sai se te lo meriti o no. Non ti interessa, ma ti fa male e sei confuso. Magari non è neanche che sei inciampato, è il mondo che ti ha fatto lo sgambetto. Magari; ma non ti interessa, fa male e sei confuso. Però qualcuno dirà peccato, non hai saputo veder l'ostacolo, e ti ricorderà di qualcuno che non è inciampato in quel punto. E ti sembrerà bruciare, perchè tu correvi e pensavi di saperlo fare bene. Conterà qualcosa tutta la strada che hai fatto finora? Ma ti fa male, sei confuso, e forse non ti interessa. Certo ti rimetterai a correre. Se hai una fortuna, è che qualcuno ti ha detto che ogni tanto si cade, e per fortuna. Quel qualcuno magari sono anche solo io. Ma non ti interessa, sei confuso; e poi fa male. Magari tratti anche male chi ti passa di fianco, ma ti fa male, sei confuso!

Però cazzo. Che bell'albero che c'è li nel campo di granturco mietuto. Non lo notavi perchè non ti fermavi mai. Proprio bello. Ti vai a sdraiare li sotto. Guardi il panorama. Non corri, gli altri si. Non ti interessa. Ti fa male. Sei confuso.

Però che bella brezza. E che bel tramonto. Te li puoi godere solo da fermo, qui sdraiato sotto l'albero. E quanta strada che hai fatto. Meno male che sei inciampato, ormai ti sembrava solo un lavoraccio tutto quel correre. Da fermi, ogni tanto si vedono belle cose. Chi è quella? Una massa di capelli lunghi ondeggia sulla strada. Va piano, non si affanna, è carina.

Ti interessa. Non ti fa più male. Sei perfettamente lucido.

Ti rimetti a correre.

domenica 25 gennaio 2009

Forge Me

Corri, corri su una bicicletta. Vai forte, stai bene, la temperatura è perfetta, percepisci una botta di ipercoscienza, tutto ora è semplice e risolvibile, come se tutti i problemi fossero insulsi, come se il tuo corpo in catene, quello di stamattina, non fosse altro che una finzione, una marionetta in un teatrino.
Sei un bambino, hai una paura folle. La natura intorno a te, vergine, smaliziata, si mostra in tutta la sua potenza. Tutti i segni che traccerai su un dannato foglio non serviranno mai a descrivere quel profumo umido, perfetto, pieno, che sa di dio, di vita, di te, dei tuoi sogni, di paura, di perfezione, di quella ragazzina più grande di te che una sera ti ha raccontato il suo primo bacio, ma soprattutto sa di libertà. Libertà da tutto, anche da te stesso. Il goffo bambino di stamattina non c’è, non qui, la tua anima, indeclinata, ride con lei, con la natura, per la prima volta, talmente forte che fa male. Bastano un pretesto come una strada in mezzo alla campagna fresca di mietitura, una scintilla come la ruota anteriore di una bicicletta che stavolta, stasera, gira a sinistra, e pam, un bambino timido diventa un semidio.
Nella sua infinita dolcezza, l’oscurità prende per mano la tua anima e comincia a condurla, sicura, per strade sconosciute. Sei lontano da casa, ma non è forse questa la tua casa? Sei vulnerabile qui, ma non sei forse completamente invulnerabile, si, proprio qui, nell’eterna roccaforte del tuo spirito? Tua madre sarà preoccupata, ma non è forse questa tua madre, la natura? E lei non sembra preoccupata, sembra anzi portare placidamente alle tue orecchie, con questa brezza fresca, il canto delle cicale che cercano amore e vivono di puro istinto, come tutto in lei, come te in questo momento. E che tu sia appena diventato in grado di godere di tutto questo, stanotte, proprio adesso e non un momento fa, rende tutto ancora più crudo, sincero, genuino, doloroso e fantastico. Percepisci tutto, puro senso quale sei diventato, in ogni angolo dell’universo. Quando ritrovi la strada, non avverti sollievo, perché tutto questo tempo, tutto quest’istante, ti sei fidato ciecamente della natura, e prescelto, non sei stato tradito.
Assoluto, puro come un bambino, privo di vincoli come un giovane, sapiente come un grande uomo, vai infine a sdraiarti sotto l’albero che hai sempre visto da solo in quel campo di grano, forte, dimenticato ma tenace, che hai sempre visto, ma solo passando per di lì, occupato in altre cose, nella tua vita di goffo bambino. Guardi le stelle, non ti affascinano, non ti spaventano. Sono te, tu sei loro. Il sublime abbraccio, ora, dopo questa prova, dopo questo travaglio, è compiuto.
Tutto passa in una fulminea eternità. Con la dignità dell’Achille che non conosci ancora, cammini stoicamente con una freccia piantata da qualche parte, la freccia che ti riporta a terra. Le lacrime di tua madre sono l’ultima cosa da cui quel boccone d’invincibilità riesce a difenderti. La tua reazione è ancora perfetta, ma appena ti ritrovi da solo, cadi. Guardi fuori, tra gli alberi ancora spazzati dal vento si nascondono mille altre sensazioni. Vuoi un altro morso di quell’ambrosia, quell’ambrosia che è ambrosia perché non se ne può avere un altro morso. Ora è di qualcun altro.

giovedì 22 gennaio 2009

The girl with no name

Una volta ho visto su una scala, su cui scorreva morbida luce, la ragazza senza nome. Non saliva né scendeva, ma era puro gioco di bambina, fretta d’un amore, vivida coscienza di un trascendentale essere unica, lei e solo lei. La ragazza senza nome mi parlava da un’immagine isolata nella mia infanzia, in cui sentimenti sfilacciati adornano come madreperla la semplicità di un ricordo, sofferenti per l’essere recisi. Pura essenza solo di se stessa, ma anche di una mia paura, di una mia corsa su un prato, di una mia profezia di bambino, lei non ha fissi lineamenti, ma la mutevole liquida forma della mia proiezione di bellezza, e lo scorrere immobile della sua esteriorità di pura riflessione non necessita di confermarmi, mai, la sua misteriosa perfezione, perchè è e sempre sarà già dentro di me. Istantanea sensazione condensata, si muove come si muovono i quadri se, distratto, li fissi a lungo, ricordandomi di uno stato del mio essere che sopravvive solo in lei.

photo by *girltripped.